I GIORNI DEL CILIEGIO
di Tito Casini

XII - SAN MARCO.

Almeno voi, o santo del leone, non potete lamentarvi che la Chiesa non v'abbia portato rispetto (come vi meritava la vostra triplice testimonianza, scritta, a voce, e a sangue, ossia i vostri tre titoli, di evangelista, di apostolo e di martire). Prima di tutto, la data della vostra festa, che per trovarsi ai venticinque di aprile cade sempre nel tempo dell'alleluia, e e volte, quando la Risurrezione è più alta, proprio nel giorno di Pasqua. Poi, presto o tardi esso venga, il grande onore di sceglier voi, quel giorno, per dare al mondo la buonissima notizia di Cristo risuscitato: Sequentia sancti Evangelii secundum Marcum - - Gloria tibi, Domine! - - In illo tempore, Maria Magdalene et Maria Jacobi et Salome emerant aromata, ut venientes ungerent Jesum... -. Quindi, col porre nel dì della vostra festa il primo sciamar dei fedeli da' santi alveari delle chiese ai fioriti tabernacoli sui poggi, dopo i fecondi della Settuagesima e della Quaresima.
Il bel giorno di aprile prossimo a maggio, lieto, insieme, per la vostra festa, per i riflessi pasquali che da vicino lo illuminano e per l'uscir delle prime rogazioni, cade oggi io una feria che ci vuol tutti gli alleluia di cui risuona perchè non s'annubi di mestizia lasciando il corso ai ricordi. Infatti, ritorna oggi per la prima volta il giorno che Cristo, aggiogato alla croce, e pungolato dai giudei, saliva orrendamente a morire sul razzineto del Calvario. Non si sapesse da voi, evangelista sincero, che avanti a tutti ce lo poneste ora son cinque giorni; non si sapesse da Matteo, Luca e Giovanni, compagni vostri di dettatura, che il racconto vostro pasquale han riecheggiato di feria in feria fino a questa; non si sapesse da tutto quel rintronar di campane di cui pare ancor commossa la chiara aria di aprile; non si sapesse, dunque, da tutto questo fiorir d'alleluia sulle labbra della Chiesa, che lo dice e lo ridice ne' più begli abiti da festa; non si sapesse da tutto (poichè tutto lo annunzia) che Cristo è risorto, - forse si volgerebbe in mestizia questo stesso primo chiamar dei santi lungo le vie vestite di primavera... Quella croce che un uomo reca dinanzi su per l'erta del poggio, quel pio gruppo di donne dietro dietro alla croce, queste fiere voci d'uomini, questi fanciulli nelle loro cappe di ministri, quale con la secchiella, quale col libro, quale con altro degli oggetti che si adopreranno sul poggio... È venerdì; è il primo dopo il Venerdì Santo, - e ci si ricorda di quello, e si ripensa a quell'altro.
Ma è pure il primo venerdì di Pasqua, e questa gita senza chiodi, senza scala e senza martello, dietro una croce ch'è un gonfalone, sopra un poggio solito a fiorir di stornelli, rifà piuttosto il vangelo d'oggi, lieta continuazion di Matteo: In illo tempore, undecim discipuli abierunt in Galilaeam, in montem ubi constituerat illis ,Jesus... .
I nomi di loro, che salivan lieti sul monte dove il Maestro risuscitato lì aspettava (per costituirli, secondo un'antica promessa dei salmi, principi su tutta quanta la terra), risuonano oggi ancora, a uno a uno, su per lo schienale del poggio, preceduti solo dal loro titolo di gloria e seguiti da una petizion di soccorso:
Sancte Petre, ora pro nobis!
Sancte Andrea, ora pro nobis!
Sancte Jacobe, ora pro nobis!
Sancte Joannes, ora pro nobis!
... Risuona pure, accosto a quel dei discepoli, dopo quel di Luca, il nome vostro, o santo del leone, e due volte, come quel di nessun altro, in grazia della vostra festa risuona:
Sancte Marce, ora pro nobis!
Sancte Marce, ora pro nobis!
In grazia di questo, senza dunque far torto a nessun degli altri patroni che le nostre litanie vanno rogando, oggi ci occuperemo principalmente di voi, ridiscorrendo la vostra vita da quel che Pietro vi riaggiogò a Cristo, a quel che Cristo vi ricolse, pien di meriti, in Paradiso.

Il principio vostro, se vero è quel che si dice, fu piuttosto da coniglio che da leone: dopo esservi messo con molti altri dietro a Gesù, voi sareste stato un di quelli che gli voltarono, bofonchiando, le spalle, il giorno ch'egli disse, nella sinagoga a Cafarnao: «La mia carne è propriamente cibo e il mio sangue è propriamente bevanda». Ma Pietro, che quel giorno di vostra fuga racconsolò Cristo con una delle sue più forti buttate d'amore («Signore, da chi vuo' tu che si vada ? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiam conosciuto che tu se' il Cristo, figliolo di Dio»), lo racconsolò poi, risorto, rimenandovi a lui, dall'acque del battesimo, con una delle sue prime prese. Da quel momento, chi volle di voi bastò cercasse di Pietro: come un figliolo accanto al babbo, o come un satellite attorno alla sua stella, dov'era Pietro, per il mondo a far lume, era Marco ad assisterlo e a rifletterlo.
Con Pietro, che portava sulle spalle la Chiesa, andaste a propagginar la Vite in Roma, l'avverso sterpeto da mutarsi in centro di tutta quanta la Vigna. Coltivata da buone braccia, la Vite non faceva che buttar tralci: nuovi credenti emergevano ogni giorno dall'acque, dietro alle parole di Pietro ch'eran le parole di Cristo. Pietro era fioco, dal continuo rispondere a chi gli chiedeva di Cristo - e il desiderio dei cristiani, desiderio di saper tutto, intorno al figliolo di Dio e di Maria, invece di appagarsi aumentava. Cedendo allora al suo invito, voi pigliaste la penna, e con l'occhio alla narrazione di Matteo, che nella Chiesa si sapeva già a mente, l'orecchio a quel che Pietro diceva, componeste, guidato dall'alto, la vostra storia.
Si poteva pensare che per rispetto a Pietro voi tralasciaste, o almeno solo di sfuggita accennaste, giunto a dir del processo, quel che nel cortile di Caifa avvenne, intorno al bracere, mentre Gesù rispondeva alle interrogazioni dei Sommo Sacerdote. Ma quando si lesse, si trovò con meraviglia tutto l'opposto: mentre non v'era parola dell'elogio fatto da Gesù a chi primo lo aveva riconosciuto figlio di Dio, il peccato di Pietro v'era rappresentato con maggior forza che nel capitolo di Matteo; il rinnegatore ne usciva più vile, più, degno certamente dì contumelia, sebbene anche di perdono e di compassione, per quel pianto, nato al cantar dei gallo, che non sapeva ancora arrestarsi. «Pianse amaramente», come si dice delle lacrime di un momento, o di un'ora o di un giorno, aveva scritto il primo cronista; ma voi, che quegli occhi e quel viso vedevate tuttavia, vedevate di continuo, «cominciò a piangere», scriveste: come si dice di una cosa che dura, che forse non cesserà mai (né cesserà infatti quel pianto, finché dagli occhi logorati le lacrime non scenderanno verso la fronte).
Pietro, con la sua autorità di capo, approvò, pagina per pagina, il vostro componimento, e premiò voi di aver dato alla Chiesa il secondo Vangelo, mandandovi, le dita ancor tinte d'inchiostro, a predicarlo.
Aquileia udì prima la vostra voce, e fu di Cristo. Tornato con Ermagora a Roma - come un vincitore col campione della sua vittoria - lo presentaste a Pietro, che gli stese le mani e lo rimandò vescovo della nuova chiesa. A voi, confortato dalla buona prova, il capo assegnava ora l'Egitto, prunaio d'ogni errore, memicissimo a Cristo.
E l'Egitto udì a sua volta i ruggiti del vostro leone. Vinti dalla vostra voce, cadevano per ogni dove gli dèi dì pietra e di metallo, per far luogo all'umile Iddio che l'Egitto aveva visto, senza riconoscerlo o ritenerlo, fanciullo e fuggiasco: un'acqua senza paragone più preziosa di quella esondante dal Nilo illagava dietro i vostri passi la terra, rigenerando il deserto.
Corsa, predicando, tutta la Pentapoli, giungeste - le braccia stracche dal battezzare - ad Alessandria, la babilonica capitale dell'errore, e la forzaste, con la parola e i prodigi, sino a farne la seconda sede di Pietro.
Era l'ora che vi si rendesse anche l'ultimo trionfo, e questo fu in Alessandria, luogo dell'ultimo vostro combattimento, della vostra ultima vittoria, il giorno del combattimento e della vittoria più grande, quello di Cristo contro la morte e il sepolcro.
Nel giorno, dunque, che la Chiesa canta, tra il graduale e il Credo, il vostro ultimo capitolo, ecco che i ministri del trionfo vennero a cercarvi, mentre, curvo sull'ostia e sul vino, mutavate il corpo di Cristo in cibo, in bevanda il suo sangue. Avevano con sè una fune - non pensavan già, i feroci idolatri, di condurvi a un trionfo - e ve la gettarono al collo, come si getta al manzo che pasce per menarlo all'aratro... Tutto il giorno durarono a trascinarvi, cosi legato, sui sassi, che si facevan vermigli sotto il vostro corpo. A sera, stanche le braccia di tirare, voi dubitaste forse che il trionfo vi sfuggisse, ancora acerbo, da mano, che rimanesse incompiuta la vostra seconda scrittura, restandovi par nelle carni, allorchè vi sciolsero, qualche goccia del rosso inchiostro, ardente tutto di espandersi.
Ma non era che una sosta, ed ebbe fine al mattino... Tratto fuori dal carcere e riposto alla fune, vi trascinaron di nuovo per vie e per piazze, gridando: «Tiriamo il bufalo al luogo del bifolco...!» Non sapevano, così dicendo, quello che si dicessero; ma a voi rideva l'anima pensando come dicessero il vero. Poichè il bifolco, il divino Bifolco nella cui vigna avevate tanto faticato, v'era apparso nella notte, fra le due estreme arature, a dirvi, mostrandovi il suo luogo: «Pace a te, Marco, autore del mio Vangelo: ecco ch'io vengo a liberarti».
E fu di buon'ora, allorchè i tiratori si accorsero, di non trascinar più che una spoglia.


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