Almeno voi, o santo del
leone, non potete lamentarvi che la Chiesa non v'abbia portato rispetto (come vi
meritava la vostra triplice testimonianza, scritta, a voce, e a sangue, ossia i vostri
tre titoli, di evangelista, di apostolo e di martire). Prima di tutto, la data della
vostra festa, che per trovarsi ai venticinque di aprile cade sempre nel tempo dell'alleluia,
e e volte, quando la Risurrezione è più alta, proprio nel giorno di
Pasqua. Poi, presto o tardi esso venga, il grande onore di sceglier voi, quel giorno,
per dare al mondo la buonissima notizia di Cristo risuscitato: Sequentia
sancti Evangelii secundum Marcum - - Gloria tibi, Domine! - - In illo
tempore, Maria Magdalene et Maria Jacobi et Salome emerant aromata, ut venientes
ungerent Jesum... -. Quindi, col porre nel dì della vostra festa il primo
sciamar dei fedeli da' santi alveari delle chiese ai fioriti tabernacoli sui poggi,
dopo i fecondi della Settuagesima e della Quaresima.
Il bel giorno di aprile prossimo a maggio, lieto, insieme, per la vostra festa, per
i riflessi pasquali che da vicino lo illuminano e per l'uscir delle prime rogazioni,
cade oggi io una feria che ci vuol tutti gli alleluia di cui risuona perchè
non s'annubi di mestizia lasciando il corso ai ricordi. Infatti, ritorna oggi per
la prima volta il giorno che Cristo, aggiogato alla croce, e pungolato dai giudei,
saliva orrendamente a morire sul razzineto del Calvario. Non si sapesse da voi, evangelista
sincero, che avanti a tutti ce lo poneste ora son cinque giorni; non si sapesse da
Matteo, Luca e Giovanni, compagni vostri di dettatura, che il racconto vostro pasquale
han riecheggiato di feria in feria fino a questa; non si sapesse da tutto quel rintronar
di campane di cui pare ancor commossa la chiara aria di aprile; non si sapesse, dunque,
da tutto questo fiorir d'alleluia sulle labbra della Chiesa, che lo dice e lo ridice
ne' più begli abiti da festa; non si sapesse da tutto (poichè tutto
lo annunzia) che Cristo è risorto, - forse si volgerebbe in mestizia questo
stesso primo chiamar dei santi lungo le vie vestite di primavera... Quella croce
che un uomo reca dinanzi su per l'erta del poggio, quel pio gruppo di donne dietro
dietro alla croce, queste fiere voci d'uomini, questi fanciulli nelle loro cappe
di ministri, quale con la secchiella, quale col libro, quale con altro degli oggetti
che si adopreranno sul poggio... È venerdì; è il primo dopo
il Venerdì Santo, - e ci si ricorda di quello, e si ripensa a quell'altro.
Ma è pure il primo venerdì di Pasqua, e questa gita senza chiodi, senza
scala e senza martello, dietro una croce ch'è un gonfalone, sopra un poggio
solito a fiorir di stornelli, rifà piuttosto il vangelo d'oggi, lieta continuazion
di Matteo: In illo tempore, undecim discipuli abierunt in Galilaeam, in montem ubi
constituerat illis ,Jesus... .
I nomi di loro, che salivan lieti sul monte dove il Maestro risuscitato lì
aspettava (per costituirli, secondo un'antica promessa dei salmi, principi su tutta
quanta la terra), risuonano oggi ancora, a uno a uno, su per lo schienale del poggio,
preceduti solo dal loro titolo di gloria e seguiti da una petizion di soccorso:
Sancte Petre, ora pro nobis!
Sancte Andrea, ora pro nobis!
Sancte Jacobe, ora pro nobis!
Sancte Joannes, ora pro nobis!
... Risuona pure, accosto a quel dei discepoli, dopo quel di Luca, il nome vostro,
o santo del leone, e due volte, come quel di nessun altro, in grazia della vostra
festa risuona:
Sancte Marce, ora pro nobis!
Sancte Marce, ora pro nobis!
In grazia di questo, senza dunque far torto a nessun degli altri patroni che le nostre
litanie vanno rogando, oggi ci occuperemo principalmente di voi, ridiscorrendo la
vostra vita da quel che Pietro vi riaggiogò a Cristo, a quel che Cristo vi
ricolse, pien di meriti, in Paradiso.
Il principio vostro, se vero è quel che si dice, fu piuttosto da coniglio
che da leone: dopo esservi messo con molti altri dietro a Gesù, voi sareste
stato un di quelli che gli voltarono, bofonchiando, le spalle, il giorno ch'egli
disse, nella sinagoga a Cafarnao: «La mia carne è propriamente cibo
e il mio sangue è propriamente bevanda». Ma Pietro, che quel giorno
di vostra fuga racconsolò Cristo con una delle sue più forti buttate
d'amore («Signore, da chi vuo' tu che si vada ? Tu hai parole di vita eterna,
e noi abbiam conosciuto che tu se' il Cristo, figliolo di Dio»), lo racconsolò
poi, risorto, rimenandovi a lui, dall'acque del battesimo, con una delle sue prime
prese. Da quel momento, chi volle di voi bastò cercasse di Pietro: come un
figliolo accanto al babbo, o come un satellite attorno alla sua stella, dov'era Pietro,
per il mondo a far lume, era Marco ad assisterlo e a rifletterlo.
Con Pietro, che portava sulle spalle la Chiesa, andaste a propagginar la Vite in
Roma, l'avverso sterpeto da mutarsi in centro di tutta quanta la Vigna. Coltivata
da buone braccia, la Vite non faceva che buttar tralci: nuovi credenti emergevano
ogni giorno dall'acque, dietro alle parole di Pietro ch'eran le parole di Cristo.
Pietro era fioco, dal continuo rispondere a chi gli chiedeva di Cristo - e il desiderio
dei cristiani, desiderio di saper tutto, intorno al figliolo di Dio e di Maria, invece
di appagarsi aumentava. Cedendo allora al suo invito, voi pigliaste la penna, e con
l'occhio alla narrazione di Matteo, che nella Chiesa si sapeva già a mente,
l'orecchio a quel che Pietro diceva, componeste, guidato dall'alto, la vostra storia.
Si poteva pensare che per rispetto a Pietro voi tralasciaste, o almeno solo di sfuggita
accennaste, giunto a dir del processo, quel che nel cortile di Caifa avvenne, intorno
al bracere, mentre Gesù rispondeva alle interrogazioni dei Sommo Sacerdote.
Ma quando si lesse, si trovò con meraviglia tutto l'opposto: mentre non v'era
parola dell'elogio fatto da Gesù a chi primo lo aveva riconosciuto figlio
di Dio, il peccato di Pietro v'era rappresentato con maggior forza che nel capitolo
di Matteo; il rinnegatore ne usciva più vile, più, degno certamente
dì contumelia, sebbene anche di perdono e di compassione, per quel pianto,
nato al cantar dei gallo, che non sapeva ancora arrestarsi. «Pianse amaramente»,
come si dice delle lacrime di un momento, o di un'ora o di un giorno, aveva scritto
il primo cronista; ma voi, che quegli occhi e quel viso vedevate tuttavia, vedevate
di continuo, «cominciò a piangere», scriveste: come si dice di
una cosa che dura, che forse non cesserà mai (né cesserà infatti
quel pianto, finché dagli occhi logorati le lacrime non scenderanno verso
la fronte).
Pietro, con la sua autorità di capo, approvò, pagina per pagina, il
vostro componimento, e premiò voi di aver dato alla Chiesa il secondo Vangelo,
mandandovi, le dita ancor tinte d'inchiostro, a predicarlo.
Aquileia udì prima la vostra voce, e fu di Cristo. Tornato con Ermagora a
Roma - come un vincitore col campione della sua vittoria - lo presentaste a Pietro,
che gli stese le mani e lo rimandò vescovo della nuova chiesa. A voi, confortato
dalla buona prova, il capo assegnava ora l'Egitto, prunaio d'ogni errore, memicissimo
a Cristo.
E l'Egitto udì a sua volta i ruggiti del vostro leone. Vinti dalla vostra
voce, cadevano per ogni dove gli dèi dì pietra e di metallo, per far
luogo all'umile Iddio che l'Egitto aveva visto, senza riconoscerlo o ritenerlo, fanciullo
e fuggiasco: un'acqua senza paragone più preziosa di quella esondante dal
Nilo illagava dietro i vostri passi la terra, rigenerando il deserto.
Corsa, predicando, tutta la Pentapoli, giungeste - le braccia stracche dal battezzare
- ad Alessandria, la babilonica capitale dell'errore, e la forzaste, con la parola
e i prodigi, sino a farne la seconda sede di Pietro.
Era l'ora che vi si rendesse anche l'ultimo trionfo, e questo fu in Alessandria,
luogo dell'ultimo vostro combattimento, della vostra ultima vittoria, il giorno del
combattimento e della vittoria più grande, quello di Cristo contro la morte
e il sepolcro.
Nel giorno, dunque, che la Chiesa canta, tra il graduale e il Credo, il vostro ultimo
capitolo, ecco che i ministri del trionfo vennero a cercarvi, mentre, curvo sull'ostia
e sul vino, mutavate il corpo di Cristo in cibo, in bevanda il suo sangue. Avevano
con sè una fune - non pensavan già, i feroci idolatri, di condurvi
a un trionfo - e ve la gettarono al collo, come si getta al manzo che pasce per menarlo
all'aratro... Tutto il giorno durarono a trascinarvi, cosi legato, sui sassi, che
si facevan vermigli sotto il vostro corpo. A sera, stanche le braccia di tirare,
voi dubitaste forse che il trionfo vi sfuggisse, ancora acerbo, da mano, che rimanesse
incompiuta la vostra seconda scrittura, restandovi par nelle carni, allorchè
vi sciolsero, qualche goccia del rosso inchiostro, ardente tutto di espandersi.
Ma non era che una sosta, ed ebbe fine al mattino... Tratto fuori dal carcere e riposto
alla fune, vi trascinaron di nuovo per vie e per piazze, gridando: «Tiriamo
il bufalo al luogo del bifolco...!» Non sapevano, così dicendo, quello
che si dicessero; ma a voi rideva l'anima pensando come dicessero il vero. Poichè
il bifolco, il divino Bifolco nella cui vigna avevate tanto faticato, v'era apparso
nella notte, fra le due estreme arature, a dirvi, mostrandovi il suo luogo: «Pace
a te, Marco, autore del mio Vangelo: ecco ch'io vengo a liberarti».
E fu di buon'ora, allorchè i tiratori si accorsero, di non trascinar più
che una spoglia.
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