I GIORNI DEL CILIEGIO
di Tito Casini

XVI - LA PASQUA DELLA CROCE.

Il tre di maggio che giornate! che giornate! - le campane, quasi ancora commosse dei doppi che annunziarono e glorificarono la Risurrezione, chiamano i cristiani a un'altra pasqua, ch'è quella della Croce.

I giudei! dopo aver sigillato nel sepolcro - perchè non ne uscisse - il corpo sconficcato del Signore, anche con la croce se la presero, e, astiosi dei baci con cui l'avremmo consumata, giù anche lei sottoterra, più a fondo che potevano, insieme a quelle dei ladroni! Poi si, lavarono le mani, e credettero che tutto fosse finito.
Ma il sepolcro dopo tre giorni si aperse; Cristo, come un giovane guerriero per poco assopito, ne balzò fuori gagliardo a conquistare la terra, - e la terra, quando fu tutta di Cristo, sì aperse anch'essa a consegnargli il suo scettro. Ecco l'Invenzione, ecco la pasqua della croce, che al mondo fu rivelata, come l'altra, da una donna.
È questo il giorno che l'imperatrice cercava, ansiosa come la Maddalena, vicino all'orto dov'ella avea cercato di Cristo, il legno glorioso di Cristo, la cui immagine era apparsa al figlio suo nel cielo, promettitrice di vittoria. Maggio, che tutti i semi rende in fiori, dovea rendere anche questo, dopo tre secoli che l'avean seminato, tinto di quel sangue, pensando forse di sotterrare una sterile vinaccia.
Sotto la furia d'amore ond'è mossa la pellegrina, cadono i profani tempi che Roma eresse sulle zolle preziose; cento e cento arnesi mordono insaziabili il suolo, finchè gli occhi, di più in più bramosi, della nuova Maddalena incontrano l'impareggiabile tesoro. Macario, il vescovo della città fortunata, discerne per un prodigio, fra i tre alberi di morte, l'albero di nostra salute: accostato ad esso, ancora indistinto, dopo che senza frutto è toccato dagli altri due, il corpo inanimato di una donna riacquista d'improvviso la vita; al che Giuda, caparbio erede e custode del grande segreto, che solo a forza ha rivelato dove la croce giacesse, confessa il Nazareno esser Dio e gli offre fin da ora il suo sangue.
Immenso grido di giubilo desta per tutta la terra la nuova di questa risurrezione, e mentre da ogni parte ci si move per giungere a porre gli occhi sopra il legno santissimo, da ogni parte s'invoca di possederne un frammento. Roma non tarda a riceverne, dalle mani di Elena, una prima porzione; una seconda va a Bisanzio, dove siede l'imperatore che nel suo segno aveva vinto; da quella che a Gerusalemme rimane, Macario non cessa di recider particole, come non cessan di chiederne chiese e fedeli. E poichè troppo più grande è la fame di questo pane che non ne sia la provvista, un nuovo prodigio supplisce al manco del legno: la Croce, per quante razioni ne scinda il ferro del vescovo, non si vede punto scemare... Così, di potazione in potazione, s'allargò per la terra l'albero palestinese: ogni monarchia, ogni diocesi, e finalmente ogni parrocchia, ebbe col corpo e il sangue di Cristo una scheggia del cruento suo altare.
Ed eccola, la santissima reliquia, eccola in questo giorno che la Croce usciva intera dalla sua tomba alla gloria, eccola uscir da ogni chiesa, per mano ai sacerdoti, sotto il baldacchino medesimo del Sacramento, fra i popoli che le cantano in voce di trionfo l'inno col quale Venanzio le si fece già incontro al suo primo entrar nel regno di Francia:

Vexillla Regis prodeunt,
FuIget Crucis mysterium...

E va, coi popoli, fra inni e litanie, va per i popoli, fra grani e biade giovinette, frementi all'aria mattinale oltre le siepi e le prode colme, di foglie e di colori, va nel canto di tutti gli uccelli, va l'insegna gloriosa, provvida agli uomini e alle umane fatiche, cui, sostando, benedice:

A fulgure et tempestate, libera nos, Domine!
A flagello terraemotus, libera nos, Domine!
A peste, fame et bello, libera nos, Domine!
Ut fructus terrae dare et conservare digneris, te rogamus, audi nos!

Ma i campi non son paghi del segno, fugace che la suprema reliquia, per mano del sacerdote, d'in cima alla via ha su di loro tracciato innanzi di ripiegar la sua gita. Tornata quella al suo luogo, fra i venerabili relitti dei santi, e tornati gli uomini alle case, ecco da ogni casa una nuova uscita della Croce, una nuova moltiplicazione della figura propiziatrice
È questo, infatti, il giorno della crociatura, il giorno che ogni campo, ogni orto, ogni brano di terra su cui verdeggi, più o men remota dal frutto, una speranza dell'agricoltore, riceva dall'agricoltore - quasi una cresima, una «confermazione» del segno nel quale cadeva già la semente - una copia durabile dell'universale presidio. Ripensati dunque i suoi colti e trovatone il numero, va l'agricoltore in questa mane e recide - dal pioppo, dal salcio, da qualunque pianta abbia dritti i suoi rami e cedevoli di scorza - altrettante verghette; le, sfoglia, le fa bianche nudandole della buccia, le apre con la punta del coltello verso la cima, e nella fenditura inserisce, insieme a qualche foglia dell'ulivo pasquale, una più corta, più sottile rametta; raccolte quindi in un sol mazzo tutte le croci, s'aggira pregando per tutti i suoi possessi, penetra cauto al cuore di ogni campo e vi lascia, confitta nel morbido seno, la lancia che già vinse Iddio Padre. Piantata anche l'ultima, ritorna alla sua casa o alle sue faccende, tranquillo.

Allorchè m'avranno alzato, attirerò tutto a me. Intorno all'esile croce, su cui amano sostar cantando gli uccelli, crescono a gara le mèssi, stringendo tra'il folteggiar degli steli la porpora dei rosolacci, l'azzurro dei fiordalisi, il rosa delle spadacciole; crescono ogni giorno più liete, sotto la carezza del vento, ogni giorno più chiare negli abiti della fioritura, ogni giorno più gravi nel peso delle gravidanze. Crescono, sin che la croce n'è tutta abbracciata, sì che sembra, nel mareggiar della distesa, albero di nave che affondi. La ritrova, fra la tacita venerazione delle spighe - che paiono, curvando bionde d'intorno, mostrarle gratitudine della lunga protezione - la ritrova e la riconosce, piegata dal vento e adusta anch'essa dal sole, l'agricoltore che vi giunge sudato e gobbo nella fatica della falce. La guarda cheto e la oltrepassa, continuando con l'opre nella lieta strage... Costretta poi nei covoni tutta la fecondità del campo, e i covoni ammontati qua e là sulla stoppia, con pia mano la svelle il riconoscente colono, e sul più alto mucchio la inasta, a francar dall'astio del cielo le raccolte ricchezze, tanto che vengano i carri a tragittarle sull'aia... . Quella medesima ve le accompagna, e quasi ve le guida, andandovi col primo bifolco la notte della tiratura... Con l'ultimo covone che dall'opre si porge, in cima alla forca, al costruttore del morbido edifizio, sale anch'essa al sommo della bica, per farvi l'estreme difese contro l'orrido incendio.
Abbattuta infine la bica, infrante sotto i coreggiati le spighe, separato il grano dalla paglia e ammassatolo nella sua stanza, tu vedi per l'aia, tornata sgombra, fra le lucide cupole de' pagliai nuovi, i fanciulli prender diletto nel recare e accompagnare attorno la vecchia croce maggese, fingendo le passate processioni, e cantare, al modo loro, come in quelle:
A fulgure et tempestate, libera nos, Domine!
A peste, fame et bello, libera nos, Domine!
Ut fructus terrae dare et conservare digneris, te rogamus, audi nos! che ormai si traduce: - Perché i frutti che tu ci hai dati, anche ti degni di conservarci, ti preghiamo: tu, ascoltaci!


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