LA TUNICA STRACCIATA
Devozione elettronica

Per eccitarla in quell'altro modo, il vostro, secondo voi più proficuo, voi non vi siete risparmiato, e prova ne sia fra l'altro la vostra cooperazione (gratuita: chi non conosce il vostro disinteresse?) allo spaccio di un potente «ambone elettronico» (brevettato) che una forte ditta ha fabbricato e lancia, a lode di Dio e al prezzo di lire 168000, mediante manifesti pubblicitari nei quali voi siete fotografato in funzione dietro l'un d'essi e con parole, in merito alle sue «caratteristiche funzionali», che chi conosce il vostro stile e il vostro vocabolario non dubita dettate da voi: «Possibilità di un contatto diretto e immediato tra il Celebrante, Lettore o Commentatore della Santa Messa, con l'Assemblea dei Fedeli. Evidenzazione del Lettore o Commentatore nella Liturgia della Parola rispetto al resto degli Officianti, sia pure amplificati con impianto centrale. Nelle piccole e medie Chiese risolve integralmente il problema dell'amplificazione, avendo la possibilità di allacciare altri due microfoni, con volume e tono indipendenti, per il Celebrante. Adattabilità dell'Ambone Elettronico a qualsiasi impianto di amplificazione centralizzato e pilotaggio dello stesso con conservazione delle prerogative esaltanti, a piacere, l'effetto presenza della voce del Lettore o Commentatore o Celebrante». E sottolineo, lasciando il resto (come gli officianti amplificati per virtù dell'impianto elettrico) le «prerogative esaltanti, a piacere, l'effetto presenza della voce del Lettore» eccetera eccetera, per darvi atto che umanamente, elettronicamente parlando, non avete lasciato nulla per galvanizzare il popolo, comunicargli la parola di Dio «in maniera tale che la intenda e se ne nutra; accostarlo all'altare così che egli consapevolmente partecipi alla assemblea» eccetera eccetera, più che prima e da tanti secoli non concedesse l'umile adorazion del mistero («Vere Tu es Deus abscondítus») velato dalla lingua latina e venerabile per questo stesso come le sacre specie che ci presentano e celano al tempo stesso il Sacramento; o la pia meditazion del rosario ch'è come dir di quanto all'altare si rimemora, si rinnova e perpetua.

Dio lo voglia, se più proficuo, a sua lode e fosse pur con umiliazione di noi «patiti del latino», di noi «sentimentali», «tradizionalisti», estetisti»! Senza dubbio, «un'anima vale più di tutto il latino», come scrisse, in vista del 7 marzo, un vostro autorevole confratello, pur avvertendo di non illudersi «che basti sostituire al latino la lingua viva e rivolgere l'altare al popolo perchè la gente accorra in massa e si converta»; ma il discorso si può invertire: un'anima vale più di tutto il volgare, e un anno e mezzo di esperienza può dirci ormai se convenisse il baratto. Conveniva?

Il conto è stato chiesto, da molti pur che non professandosi o non essendo, religiosamente, dei nostri, sono con noi in questa battaglia, magari o anzitutto in nome della bellezza, come in suo nome tutto il mondo trepidò e insorse per la Pietà di Michelangelo esposta come si temè ai rischi, di perdersi o di danneggiarsi, del viaggio in America; trepidò e inveì per i lievi sfregi subiti da alcuni quadri della Galleria degli Uffizi. «Poichè vengono conclamati» (citiamo per tutti uno scrittore, Zolla, della più nota rivista letteraria italiana) «i motivi " pastorali " della sovversione, sarà lecito domandare i rendiconti della messe di conversione che l'attuale liturgia volgare avrebbe dunque mietuto», e aggiunge, scettico, senz'aspettare: «Ma chi mai si potrebbe convertire soltanto perchè l'autorità si sarebbe aggiornata al XVI secolo protestante, ovvero avrebbe tirato le conseguenze dal fatto che in Italia si parla italiano, dopo mille anni giusti che lo si parla?» E, sottolineata «l'estrema delicatezza dell'orazione», la «sua indole assai spesso non discorsiva», non «raziocinante»; e dopo aver detto che l'«orazione eleva fuori delle contingenze» e «perciò impone un linguaggio diverso dal quotidiano» e che «i primi cristiani, per i riti più importanti, non usavano affatto il volgare del tempo», così torna al punte, chiedendo: «quali incassi procurò il volgare introdotto dalla Riforma? Ne sorse davvero una così fitta schiera di santi e una tal dovizia di miracoli da svergognare i rimasti fedeli al latino?» E sèguita (quasi ignorando la risposta da noi già data del Marshall): «Quali frutti ha procurato la distruzione liturgica? Accostare ai Vangeli i fedeli ignoranti il latino? Ma sarà proprio sconciando i riti che si otterrà ciò che messali bilingui, catechesi, omelia non sarebbero riusciti a favorire?»

La risposta, qui sottintesa, c'è, nei fatti: il bilancio di un anno e mezzo insegna, e la risposta è: no. I tanti secoli del latino non hanno, che si sappia, allontanato un'anima dall'altare o freddato in un cuore la carità: i pochi mesi del volgare, nazionale e razionale, han visto in chiesa le armi, e le sacre pissidi tornare assai meno scarse al ciborio, intruppati o liberi che siano i comunicanti. Stralcio dal bilancio (non sembri impertinente il vocabolario, per un'operazione, come questa, di cambio, che ha fatto incassar miliardi) il caso di un mio amico, uomo di poca fede che mi dice di averla persa del tutto assistendo a questo «dialogo» fra un protestante e un nostro prete: «Allora, voi cattolici, riconoscete di avere fin qui sbagliato?» «Sì, noi riconosciamo di avere, fin qui, sbagliato»; e, senza movere inchieste ma per quel che so, mi attengo a queste, alle comunioni. Quante? «Dimezzate!» mi dice con voce quasi piangente l'umile fraticel sagrestano, intento a preparar le particole, con cui discorro, nella sagrestia della chiesa dove vado a confessarmi, in attesa che venga il padre da lui chiamato per questo: «Ecco qui: ne prendevo millecinquecento per settimana, e ora bastano due settimane». Il padre, sceso in quel momento, conferma, e scuote tristemente la testa.



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