IL PANE SOTTO LA NEVE
V - IL GRANO DEL MIRACOLO

È la vigilia di Natale. Hodie scietis quia veniet Dominus... E il capo di casa va con l'accetta nella macchia, taglia un cerretto, lo porta in casa, lo accomoda nel focolare, da cui la massaia ha spazzato via tutto il vecchio, gli mette fuoco. Il cerro brucia tutto il giorno, scaldando una pentola di fagioli o un paiolo di patate o altra vivanda di stretto magro, come il giorno prescrive; brucia la sera, circondato dalla famiglia che aspetta in gioconda veglia la mezzanotte; e brucia ancora, sfacendosi in grigia cenere, mentre la famiglia è alla messa in cui nasce Gesù. La mattina, il resto del cerro, ancora acceso, viene spento e riposto. Con altrettanta cura, si ripone e serba la cenere... Verrà l'estate, con i suoi improvvisi furori, e il tizzo, messo fuor della finestra o dell'uscio, terrà indietro la grandine, disarmerà gli uragani, rintuzzerà le saette. È la fede che fa questo... E la cenere? La cenere, serbata fino ai giorni della sementa, si mescola al grano da seminare, si sparge con esso per i colti, e il grano risorgerà dai colti moltiplicato e fecondo, sicuro fino alla spiga, fino all'aia, fino al granaio... È ancora la fede che fa questo.

C'era anticamente un uomo, un che lavorava la terra, pieno di fede... Chi avrà fede se non l'abbiamo noi che si lavora la terra, noi gente di campagna? Chi ha mai visto un miracolo se non ne vediamo noi tutti i giorni? Siamo noi che gettiam per terra dieci staia di grano, e dopo nove mesi, senza gli si sia fatto nulla fuorchè coprirlo perchè marcisca, ce ne ritroviamo fuor di terra più che dieci volte altrettanto. E i corvi, i passerotti, tutti questi uccelli dell'aria che non seminano, non mietono, non han granaio per l'inverno, e non ce n'è uno che muoia di fame: chi è che li vede? Chi è che vede l'erba, i fiori venir su dalla terra, da una medesima terra, prima tutti compagni - un filino o due, verdi e teneri teneri - poi così differenti tra loro, di forma, di colori, di odori, e così belli che Salomone con tutte le sue splendidezze non era nulla? La fede, bisogna per forza che noi ce l'abbiamo.
Ma la fede non basta, e ci vogliono i fatti. Quando s'arriverà al tribunal di Cristo, Cristo non ci domanderà se abbiamo creduto: ci domanderà se abbiamo fatto le opere di misericordia: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gl'ignudi... come faceva per l'appunto quell'uomo, che per gli altri si sarebbe cavato il pane di bocca e la camicia d'addosso.
Era un uomo davvero di una grande carità, e quantunque non avesse nulla da buttar via, aveva sempre roba d'avanzo quando dalla sua casa, o dal campo, passava un povero. «Aiuta i tuoi», dice quel proverbio, «e gli altri se tu puoi»; e ce n'è, a rincalzo, un altro che dice: «Il primo prossimo è se stesso». Massime avare; e almeno si facesse così! Almeno, chi può, pensasse un pochinino anche agli altri, dopo aver pensato a tutti i suoi! Almeno ci si ricordasse ch'esiste un prossimo, oltre noi stessi!
L'uomo di cui si discorre faceva piuttosto al rovescio dei due proverbi: prima gli altri e poi sè. Era insomma un buon uomo, un uomo tutto cuore, un uomo secondo il Vangelo.
Anche lui, tutti gli anni, per divozione al Natale, metteva nel fuoco il suo cerretto e serbava la cenere come una benedizione per il suo grano da seminare. È la fede che conferisce virtù alla cenere, e il buon uomo lo vide, nè lui soltanto, un anno che la sua fede, dico qui la sua carità, fu messa all'estrema prova.
Era il mese di novembre, ch'è il mese dei poveri, essendo il mese dei morti, ed è anche il mese delle semente. Il raccolto, quell'anno, era stato scarso, e i poveri passavan più numerosi dalle case a chiedere, a nome dei morti, la carità dai cristiani. Tanti ne passarono, di questi cursori del purgatorio, dalla casa del buon uomo, e tanta fu la sua larghezza di cuore, che si ridusse a non aver nel granaio più che il necessario per seminare... Era il giorno della sementa; l'uomo aveva già aggiogato le bestie per andare nel campo, aveva tirato fuori la cenere benedetta e stava per mescolarla col seme, allorchè un altro povero, più meschino, a vedersi, di quanti lo avevano preceduto, arrivò alla sua porta e fece la solita preghiera: «Un po' di limosina, fratelli cristiani, per i vostri morti del purgatorio!» L'uomo, che aveva più quello solo, prese il grano destinato alla terra e lo versò nella sacca del mendicante... Gli rimaneva la cenere, che non gli serviva più, ed egli la diede al vento.
... Portata dal vento, la cenere benedetta si sparse, simile a nebbia, per i campi dell'uomo giusto, sostò sui colti, scese a poco a poco sulle zolle invano voltate, coprendole di un bigio velo che le zolle lentamente assorbirono, quasi una brinata dopo un poco di sole. Sopra le zolle inseminate cadde, di lì a breve, e ristette, freddo sigillo, la neve.
Sotto la neve, pane: ma a condizione che vi sia il seme del pane; altrimenti, sotto la neve come sotto l'acqua, è la fame... L'uomo tuttavia non perse la sua fiducia in Colui che nutre i corvi, i quali non seminano, che veste i gigli del campo, i quali non arano, e parlò di corvi e di gigli per direi infine: «Non vi arrovellate a pensare che cosa mangerete o berrete domani... Il Padre vostro sa che ne avete bisogno».
La vigilia di Natale - la neve copriva ancora la terra - l'uomo bruciò, come gli altri anni, il suo cerro e serbò la cenere... Per che cosa, oramai?
È la fede che fa... La notte di Ceppo, le gronde, anche le gronde, furono tutte un cantare e i fossi un borbottar lieto come di folle che scendano per vie sassose alla festa, per la neve che si disfaceva, sotto le ali degli angeli, sgombrando tetti e campagne. Allorchè le campane suonarono per la messa dell'alba, la terra era tutta libera; e i campi, neri d'autunno, ora verdeggiavan di pane. È il miracolo di tutti gli anni... Ma un miracolo insolito s'era compiuto sotto la neve e si svelava ora agli occhi di tutti: anche i campi non seminati, i campi dell'uomo di fede, sparsi solo di cenere, germogliavan di grano.
Dio, che può dalle pietre suscitar figlioli ad Abramo, aveva dagli avanzi di un legno fatto uscire il frumento; e lo manifestava in quel giorno, nel quale un miracolo ben più grande si celebrava sulla terra: il miracolo di una Vergine che aveva partorito un Figliolo.

Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2, pp. 35-40.


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