DICEBAMUS HERI
la "Tunica stracciata" alla sbarra

di Tito Casini


Il pianto di Asaph

Questa Riforma liturgica, quale noi la vediamo in atto, è come Saturno, il quale, come ognun sa, divorava i propri figlioli. Ha divorato il latino, dopo aver partorito quell'articolo 36 che doveva assicurargli una vita lunga quanto la Chiesa, Linguae latinae usus servetur, e lo ho fatto - l'appetito viene mangiando - con una tale voracità, con un sèguito di etiam... etiam... etiam... che non c'è rimasto neanche le briciole. Ha divorato il canto sacro, la musica, dopo averla, con l'articolo 112, dichiarata un tesoro d'inestimabile pregio, thesaurus pretii inaestimabilis; il gregoriano, dopo averlo, articolo 116, riconosciuto per suo proprio, liturgiae romanae proprium, e garantitagli la corona: principem locum obtineat. E per venire - passando sopra a tante altre cene e merende e spuntini fatte sulle proprie tenere creature - a quella per cui abbiamo aperto il discorso, ha divorato la Domenica.
È, come per tutte le altre, e più ancora, improprio parlare della Domenica come di una creatura della Riforma. Creatura del Creatore, essa ha il suo atto di nascita nel primo capitolo della Genesi: Complevit Deus die septimo opus suum et requievit, e la sua consacrazione solenne nell'ultimo di San Matteo: Vespere autem sabbati, quae lucescit in prima sabbati (sta' buono, Tito: ringoia il pianto e tira avanti). Venerando questi suoi titoli e rispettando l'universale rispetto per questo giorno che già col nome rivendica la sua origine e la sua appartenenza, la Costituzione De Liturgia ha voluto pur dedicargli un suo articolo, ed è il 106, che dice: «Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della Risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente "giorno del Signore" o "domenica". In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi per ascoltare la parola di Dio e partecipare alla Eucaristia, e cosi far memoria della Passione, della Risurrezione e della gloria del Signore Gesù e render grazie a Dio... Per questo la domenica è la festa primordiale che deve essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro: ... ita ut etiam fiat dies laetitiae et vacationis ab opere».

Etiam, « anche », non in primis, non «soprattutto», e così si era sempre inteso, facendosi intender che il «giorno del Signore» voleva pur qualche cosa per il Signore. «Ricordati di santificare la festa» (memento! nessun altro dei dieci comandamenti ha questa solenne intimazione) e per santificarla s'andava a Messa, la domenica mattina, s'andava «alle funzioni», la sera, come la Chiesa inculcava, né i cinque salmi del Vespro parevan «troppi», come son parsi ai riformatori e ce lo ha detto espressamente il padre Bugnini, il Segretario, che qui sta per il Presidente e significa il Consilium, significa la Riforma. La Riforma ha divorato, come appunto qui si vuol dire, anche la Domenica, incorporando in una delle sue tante istruzioni ad exequendam, ossia ad destruendam, questo articolo 28 che ammazza pari pari l'articolo 106 della Costituzione ora citato: «Permittitur... È consentito di soddisfare al precetto della Messa domenicale la sera del sabato precedente...» Del che se tutti si valessero, come ne hanno la facoltà, le chiese potrebbero restar vuote, quel giorno: vuote come nessun altro dei sette: vuote, senza ne un orante nè un'orazione, quel sacro «giorno del Signore» nel quale, per il Signore, in paesi pur non cattolici ci si fa scrupolo e divieto di darsi troppo alla «gioia», sia pur l'innocente gioia di giocare con un pallone.
Permittitur... e io non dirò che sia colpa della Riforma, o dello spirito riformistico che ha dettato la concessione, se il giorno «vuoto» delle chiese è e sarà sempre più quello meno vuoto degli ospedali e degli obitorii, il giorno meno vacationis ab opere delle autoambulanze. Dio me ne guardi: io dico soltanto che quel satisfieri possit fuor di domenica ha fatto e sempre più tenderà a far di questo giorno, non etiamin primis, ma tantum, ma unice, il giorno della gioia, il giorno degli svaghi e sa ognuno di quali svaghi, per le strade, i boschi, i monti, le spiagge - portino per eccesso a ridurre o ad aumentar poi i dati anagrafici.

L'umiliazione del Tabernacolo, ossia di Chi vi abita detronizzato e relegato, come vediamo, dove... dà meno noia - è lamentata in quell'odierno salmo di Asaph che piange sulla profanazione del Tempio tutt'uno con l'abbattimento delle feste di Dio: Polluerunt tabernaculum Nominis tui: dixerunt in corde suo: quiescere faciamus díies festos Dei a terra... e l'enormità è che all'abbattimento diano il consenso e la mano i custodi del Tempio. «La domenica è un dato puramente umano e la Chiesa potrebbe senz'altro disfarsene». Questo «potrebbe» è un suggerimento, equivalente a «dovrebbe», e chi lo ha dato, chi lo ha detto è un religioso, passionario della Riforma e, si capisce, della guerra al latino: è il padre Maertens, in una rivista intitolata Paroisse et Liturgie (11, 1967). Quanto al posto di Lui, il Santissimo, ciò che fin qui era indubbio e logico (e lo riafferma Pio XII nella Mediator Dei) ossia «al centro del culto: l'Altare», ora è diventato un problema, ora che al centro del culto si vuol «la faccia di un uomo», e le gazzette del nuovo culto son piene di suggerimenti e proposte sul dove e sul come sistemarlo, questo Carcerato d'amore, che non dia noia, e lo si carcera così bene che in qualche chiesa è un'impresa scoprirlo e a qualcuno è tornato in mente il pianto della Maddalena al Sepolcro: «Hanno levato il mio Signore e non so dove l'hanno messo...» Perché si sappia almeno questo, l'instructio sopra citata prospetta e lascia a scelta dei parroci diverse possibili soluzioni, tra cui perfino - «licet»! - quella di metterlo sull'altar maggiore, purchè «di piccole dimensioni», e se ne vedono, in vendita, bassi come le scatole dei Baci Perugina. «L'impressione, oggi,» scriveva in proposito un sacerdote toscano (non so se della mia diocesi), don Giulio Grassi, «è che il Santissimo sia d'ingombro: chi lo nasconde in una sorbettiera; chi lo calca in una cassetta; chi lo incolla alla parete», e invece di «scatole» per «baci», come ho fatto io, parla di «scatoloni, sormontati, a volte, su nobili altari, che sanno di forno per mettervi a cuocere un pollo al mattone». Gli altri, i «vecchi» - troppo grandi, troppo alti - nei quali Gesù abitò per secoli, a qualche cosa, fuori di chiesa, possono ancora servire: in Francia, uno del diciassettesimo secolo è stato adibito a cuccia del cane: abbiamo davanti agli occhi la foto del setter che sporge dal di dentro il petto e la testa attraverso la porticciola da cui Egli...
Dipende dalle autorità competenti, a competenti auctoritate, nazionali, regionali, diocesane, vicariali o parrocchiali che siano, che possono far come meglio credono, magari l'opposto l'una dell'altra, ed è, questo particolarismo, una caratteristica della Riforma, che come ha scisso la lingua tende a scinder la legge dell'unità cultuale; e non è escluso che col tempo ogni paese arrivi ad avere una sua «domenica», che potrà essere il sabato come il lunedì o un qualunque altro giorno, seppure non si rimetterà al singolo fedele la scelta, dicendogli di andare a Messa, una volta la settimana, quando avrà meno da fare o gli sarà meno scomodo.
Ho parlato di questa cosa con un amico inglese, e mi diceva che una delle condizioni che si porrà di sicuro dagli Anglicani per la loro unione con Roma sarà che Roma ritorni a onorar la domenica... Lo guardai, incerto se si trattasse di una battuta umoristica, non senza chiedermi, è vero, se noi accetteremmo la condizione... No, egli non scherzava (e neanche io scherzo)


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