Lieto di un «episodio»
(il più grave, secondo lui; il più importante, secondo me) della guerra
allora e tuttora in atto intorno al mio libro La Tunica stracciata, uno dei
miei più cordiali «nemici» scriveva, nella sua rivista Testimonianze:
«Non so se Tito Casini, dopo tanta disavventura, ha deciso di ritirarsi»;
mentre, ansiosi per lo stesso «episodio», altri si chiedevan lo stesso
augurando il contrario. Al desiderio degli uni come al timore degli altri rispondono
queste mie nuove pagine, dettate dal medesimo amore che dettò quelle: amore
confortato, anzi che scoraggiato, da tale «episodio», e sollecitato dal
progressivo ruinare in basso loco di ciò che il libro aveva visto abbandonar
la verace via quel 7 marzo 1965.
Dico della Liturgia, e lo dico mentre a Roma si sta svolgendo, e volge alla fine,
il Sinodo episcopale, con dei progetti, nei riguardi del Culto, che ci hanno fatto
rabbrividire, anche se la quantità e qualità delle voci avverse (non
bastassero Atti papali come la Lettera Sacrificium Laudis e l'Allocuzione
Ecce adstat) non ci consentono di dubitar della reiezione di quel mostriciattolo
focomelico, il peggior prodotto fin qui della talidomide riformistica, presentato
sotto la denominazione di «Messa normativa».
No, caro padre Balducci; no, innumerevoli amici che la speranza di lui ha turbato:
io non mi ritiro, io non diserterò il campo fino a che, socii passionum,
come ora siamo, non lo saremo et consolationis, ci sia dato di qua o di là
rivedere il sole.
Propter Sion non tacebo, propter Ierusalem non quiescam, donec egrediatur splendor...
e questo nuovo libro non tanto è, pur essendo, una giustificazione dell'altro,
quanto una ripresa, dicebamus heri, e continuazione: non una difesa di me,
in altre parole, ma di ciò che io difendevo e difendo e che potrebbe aver
per impresa parole di quell'«episodio»: Dei honorem, Ecclesiae Sanctae
decorem.
E chi sei tu, mi s'è chiesto e mi si può chiedere, da incaricarti
di questo? A chi poteva o potesse credere che io presuma di me risposi e rispondo
che io sono un «asino», al servizio di Dio e della sua Chiesa. La storia
sacra ne ha più d'uno, degli asini, che han servito, da asini, ai disegni
divini, da quello di Balaam, a cui mi sono espressamente paragonato, a quello, cui
non oso paragonarmi, che Gesù cavalcò entrando in Gerusalemme e che
certo non si montò la testa come se fossero per lui gli osanna e per le sue
zampe le vesti stese per terra. Meno immodestamente, mi paragono all'asinus portans
mysteria, senza l'illusione circa l'oggetto degli applausi.
Ce n'est pas vous, c'est l'idole à qui cet honneur se rend... Non a me,
è fuor di dubbio, ma a ciò che io porto, a ciò che io difendo
- con gli zoccoli, se volete, per dire alla maniera degli asini - è dovuto
unicamente l'ampio consenso che hanno raccolto quelle mie pagine. Pagine di accusa,
pagine forti, lo riconosco e non sto a ripetere (l'ho fatto là e lo farò,
qui, dentro) perchè ho scritto così. Faccio mie le parole con cui un
gesuita inglese (autentico, secondo il cuore di sant'Ignazio), il padre Christie,
cappellano dell'Università di Cambridge, nel febbraio scorso, replicava alle
minacce di un prelato del suo stesso Ordine, di cui aveva pubblicamente rimbeccato
le pubbliche dichiarazioni «in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa
di Roma». Invitato a scusarsi, egli rispondeva: «No, non mi scuso, e
non m'importa un bel niente delle reazioni che possono derivare dal mio intervento...
Nella vita di un uomo giunge sempre il momento in cui bisogna levarsi in piedi e
assumere la propria responsabilità. Così ho fatto».
Con la stessa tranquillità - Non timebo quid faciat mihi homo... -
di fronte ai possibili inconvenienti, per me d'ordine umano, ho impugnato e torno,
qui, a impugnare la penna, come ho creduto mio dovere, contro i sovvertitori di quella
«regola del pregare» la cui stretta connessione con la «regola
del credere» è detta da un celebre assioma: Legem credendi lex statuat
supplicandi e veniva riconfermata or è poco da un celebre canonista dell'Università
di Magonza, con un avvertimento di cui vediamo pur troppo in atto la verità:
«Si pensa di poter difendere la Rocca della Dottrina cedendo la spianata davanti,
che è la Liturgia; ma è proprio sulla spianata che si deciderà
la battaglia». Ed è per amor di quella come di questa che noi restiamo
sulla spianata.
Con quale speranza, cui bono, torniamo a chiederci, dal momento che l'«ordine»,
come si crede, è di cedere e i capi ne dànno, «tutti»,
l'esempio? Alla domanda perchè si ostinasse o credesse di aver ragione a resistere,
quando tutti i vescovi inglesi e tutto il Parlamento gli erano contro, Tommaso Moro
rispose (non ignorando ciò che gli sarebbe costato): «Per ognuno dei
vostri vescovi io ho centinaia di santi e per tutto il Parlamento io so di avere
con me la Chiesa». Senza pensare ad accostamenti che farebbero giustamente
sorridere pur chiedendone licenza col si parva licet con cui il poeta paragonava
le api ai ciclopi, io sento di poter dire ugualmente. Di diverso, nel caso mio, non
c'è che il numero dei santi, tanto e cosi gloriosamente aumentato dopo la
Controriforma. Salvo questo, la mia risposta è la stessa: per il Consilium
e per, tutti quelli che mi son contro, io so di avere con me il Concilio e la Chiesa.
Gli onesti intelligenti a cui il mio libro era destinato lo hanno riconosciuto, e
mi basta. Per gli altri, illusi o pervicaci zeloti della «nuova mentalità»
(è ancora a quell'«episodio» che io mi riferisco), vale ciò
che fu detto parecchi anni addietro: Neque si quis ex mortuis resurrexerit...
Quanto ai possibili «inconvenienti» (cose da nulla, in ogni caso)
di questa mia posizione, io tengo fede alla regola: Fais ce que dois, vienne
ce que pourra: fa' quel che devi, accada quello che vuole.
Per aver mantenuto fede, servendo la Chiesa, a questa sua massima, Giovanna d'Arco
salì il rogo. A me, per ora, è accaduto solo di vedermi rifiutare pubblicamente
la Comunione.
Firenze, in festo Domini Nostri Iesu Christi Regis, 29 ottobre 1967.
Tito Casini