DICEBAMUS HERI
la "Tunica stracciata" alla sbarra

di Tito Casini


Cose del Texas

Miele, invece, solo miele, e del più dolce, da parte degli altri nei miei riguardi, e basti per tutti l'etichetta del barattolone che una rivista bolognese mi dedica, dico il sommario, in grossi caratteri, del lunghissimo editoriale (due paginone, con foto) di Amici, fabbricato con ogni genere di fiori dal suo direttore, un ecclesiastico, mi immagino, in collare o, più probabilmente, in colletto (e cravatta, come so che là si desidera dai superiori), cui il paonazzo, dopo questa prova, sta bene come a me la corda o la sedia. Se non mi fosse arrivato dopo, avrei messo questo, al posto di quel Corriere Romano, e giudicate voi del merito:
«Al di là di ogni limite. È possibile che certe periferie "texane" esistano in seno al popolo di Dio? - È possibile che si raccolgano dossiers per "far fuori" un membro del Collegio Apostolico? La virulenza dell'attacco» eccetera eccetera... Parlar di «Texas» e di «far fuori», per uno ch'è «al di là d'ogni limite», ossia un fuori-legge, vuol dir parlare di briganti, con taglia addosso, vuol dire ricordar Kennedy, che sarebbe il cardinale Lercaro, e Oswald, che sarei io, io in associazione a delinquere con altri texani, i partigiani del latino, «i quali», cito dal testo, «hanno scelto di operare alla macchia... ai fini di un tentativo di linciaggio morale, indegno della cristianità», spiegabile, come si aggiunge volendomisi usare un po' d'indulgenza, «in termini di psicologia del profondo», ossia di un pervertimento morale simile a quello che fece del già modello di Giovanni il modello di Giuda nella celebre Cena, e l'articolista non manca infatti di ricordare che io fui, quondam (all'imputato vengon le lacrime), «un mite uomo di lettere» che nessuno riconoscerebbe in questo «libello», questa «logorrea incredibilmente noiosa e banale, al di là di ogni limite di rispetto per l'autore e per il lettore», e questo non sarebbe nulla (questo riguarda il de gustibus, e par che a questo proposito non tutti gli antitexani concordino) «se lo scritto non fosse stato strumentalizzato» (e questo sì ch'è il bello scrivere, messo accanto ai «dossiers») ai già detti fini di «"far fuori" un membro del Collegio apostolico», ossia di ammazzare il cardinale Lercaro. Una cosa da nulla, sia pure per un texano! ed è per ciò che l'inquirente, proprio come si è fatto per Oswald, fiuta e denunzia il complotto, addirittura «internazionale» e, attraverso la persona del Cardinale, diretto «contro il Concilio». Proprio così: «Non si tratta di una sortita di "patiti" di un determinato tipo di latinità, ma di una ben più ampia e varia collusione. Il libello in questione non è farina di un solo mulino. Si tratta di...» E qui, cari Amici, bisogna proprio vi dica che voi avete ragione: se il «libello » è mio, solo mio, composto dalle mie mani all'insaputa di tutti, l'idea, la farina, è d'altri mulini, come, per rammentar solo i più moderni e famosi, la Officiorum omnium, la Mediator Dei, la Veterum sapientia di quei bianchi mugnai che rispondono ai nomi di Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII: questi grandi, questi santi pontefici del cui pensiero, delle cui parole il libro è tutto sostanziato e che NESSUNO, dico NESSUNO, ripeto NESSUNO, rabidi nemici come voi Amici o nemici comunque come tutti i vostri amici, NESSUNO, torno a dire, ha osato affrontare, osato mordere, nel mordere le mie pagine, trattandosi di un pane troppo duro per le vostre vecchie dentiere di modernisti.
Meglio ignorarle, quelle encicliche, fingendo di aver distrattamente saltato quelle loro delle mie pagine, meglio ignorarli questi papi (di troppo nota grandezza e santità per poterli chiamar texani), o tutt'al più dire, come a me il padre Morganti, che «gliele hanno fatte fare», riversando tutto il culto sul Cardinale, come fanno, per concludere, questi Amici, con un ultimo attacco a me, al texano, che potrebbe aver, per eccesso, disgustato l'oggetto stesso del loro culto, supposto che a San Petronio non sia troppo estraneo Petronio, l'arbiter elegantiarum: «Il popolo della Chiesa di Dio in Bologna - sconcertato, addolorato, offeso dall'inqualificabile aggressione - si stringe con venerazione ed affetto intorno al suo Cardinale ed esprime la più vibrata protesta, nella coscienza della dignità e dell'onorabilità del proprio Arcivescovo e di tutti i figli di Dio» (quanto dire dell'universo, compresi gli angeli, e qual mai texano, nel male, è arrivato a tanto?)
«Aggressione», si dice dunque (logicamente, stante la qualità della vittima, «inqualificabile»), e qui mi corre davvero l'obbligo, non disponendo pur d'una mola (salvo quella, rettorica, che gli Amici mi attribuiscono) con cui farmi gettare in mare; mi corre propriamente il dovere, se non voglio con la mia farina andare a cuocer laggiú, di aprire il sacco, ossia il «libello», e mostrare a quelli che non lo avessero ancora aperto quanto sia di vero, a mio carico, nella surriferita requisitoria, che non è meno un fulgido esempio, una grande lezione pratica di carità, di tolleranza, di non aggressione verso chi dissente da noi. Il cardinale Lercaro, membro del Collegio apostolico e tanto in alto, nei miei confronti, per questo come per tanti altri titoli di merito suoi personali, da poter far sue, a mio riguardo, le parole di Beatrice, la vostra miseria non mi tange, o sorridere con indulgente compatimento come il porporato alla guardia che lo aveva... trattato da vescovo; in quanto arbitro del Consilium per la Liturgia dissente da me, ossia io dissento da lui (e io non sono che una piccola voce di un coro la cui vastità mi ha stupefatto e commosso, giudicandone dai consensi che con ogni mezzo, da ogni parte del mondo, mi si son fatti giungere per quelle mie pagine) tanto che per me vale deformato ciò che per lui è riformato; è altrettanto vero, però, che IO NON HO MAI MESSO IN DUBBIO LA SUA RETTA INTENZIONE, e l'ho dichiarato tante volte, in maiuscoletto come qui, da mancar semmai alla regola, anche estetica, del Ne quid nimis, e senza pensare, naturalmente, a quella tale lastricatura dell'Inferno, che qui non c'entra... Appelliamoci a quell'altra massima, al Repetita iuvant (pur temendo che a me non giovi, come non è giovato, per la mia lealtà in proposito, invocare, pagina 21, «il ricambio»: a me infatti l'onesto fine, fin anche questo si è negato) e, almeno in parte, ripetiamoci.
Pagina 12: «... fatta salva in voi l'intenzione, che fu ed è sicuramente l'opposta» (a proposito di Wittemberg). Pagina 15: «...a questo porta, Eminenza, la vostra Riforma, per altra che sia, e chi vorrebbe dubitarne? la vostra personale intenzione». Pagina 21: «...nella vostra durezza a nostro riguardo noi riconosciamo sincero zelo». Pagina 57: «...chi non conosce il vostro disinteresse?» (per il denaro, e pur sapendovi, aggiungo qui, all'asciutto e peggio, come mi dicono, per via principalmente di quel sol dell'Avvenire d'Italia). Pagina 88: «...certi, come noi siamo, del più puro e apostolico (vostro) zelo del bene». E il libro, aperto con una schietta dichiarazione di amore: «guerreggiare contro "nemici" che sono nostri amati fratelli », si chiude con una invocazione di aiuto che se non è una domanda di perdono si sente bene che l'autore, pur concedendo di aver potuto arrecar pena, non ha coscienza di aver peccato: «...aiutate con la vostra preghiera chi, per amore, può avervi addolorato». Senza dire che, «per riverenza», io ne ho omesso il nome, e non è mia colpa se un mariolo di giornalista come Gino De Sanctis se n'è avvalso per chiamarlo «l'Eminenza Innominata».
Quanto alle sue doti di mente io gliele invidio, scrivendo, a pagina 25, che la sua «nota cultura» esclude che la sua avversione al latino (il «latin del Messal», che non è «quel del Bembo») derivi «dal tempo, ossia a causa, dei latinucci, come avrebbe potuto esser per me», e ripetendo, a pagina 27: «voi siete colto, voi non ignorate che...» Le telecamere? Le telecamere, è vero, mi offron lo spunto per riferire, sul suo conto, una barzelletta, come ne fioriscono intorno ai grandi e di cui i grandi sorridono per primi, ma premetto (pagina 22) che nel suo sottostarvi noi «riconosciamo umiltà, intento di farsi tutto a tutti, piccolo coi piccoli, popolo col popolo», così come per i coriandoli, i famosi coriandoli.

Ah, quei coriandoli! in Germania ci han fatto sopra una poesia, e quelli sì che non scherzano, come io ci scherzo! Bologna tobt wild im Carneval Und heftig feiert auch der Cardinal... Confetti und Coriandel. Welcher Spass! Das nennt man heute: Hirtencharitas... Parlano dell'anello - perduto, pestato, infranto - l'anello, com'essi credono, con la reliquia della Croce, Vom heil'gen Kreuz den Splitten - come d'un sacrilegio e vedendo in ciò quasi un simbolo della santa liturgia «riformata», un simbolo della «lingua cattolica» scissa, babelizzata, gli dicono: Fèrmati! Halt ein, Lercaro...! «Fèrmati... tu che hai deluso la nostra fedele speranza, ci hai fatti estranei togliendoci la nostra lingua comune; hai dal suo trono sfrattato Nostro Signore; vieti a noi peccatori d'inginocchiarci adorando; non vuoi più che leviamo il nostro sguardo alla Croce, perché abbiam sempre davanti la faccia di un uomo...» Se ho citato, in piccola parte, e tradotto (rischiando pur nel respingerla la cittadinanza texana) è perchè condivido, ma senza disconoscere, in chi ha spazzato via il latino, in chi ha sloggiato dall'Altare il Sacramento e il Crocifisso, in chi impone la Comunione nell'atteggiamento del fariseo, in chi ha scortito e deprezzato la preghiera, anteposto Marta a Maria e risparmiato sul nardo e i baci, sui segni esterni dell'amore, in chi ha proscritto arte, poesia, musica, in chi ha voluto e vuole tutto sovvertire, invertire, immiserendo e avvilendo... non ho disconosciuto, non ho voluto disconoscere una intenzione di ben fare e far meglio, senza la quale qualcuno un giorno avrebbe proprio da chiedersi (volendolo dire nel suo volgare): «Che avvocato inviterò... ?»
Mi pare, d'altronde, che non si possa vedere offesa, ingiuria pubblica, si tratti di telecamere o di coriandoli nel fatto che da altri si noti, giornale o libro, ciò che si è fatto pubblicamente - «in piazza», come suol dirsi, e qui alla lettera - sapendo di poterlo fare o permettere. Voglio credere che sotto questo riguardo la mia «lettera» non abbia irritato il Cardinale, seppure non ci s'è divertito, come non deve essersi divertito a leggere in sua difesa o in sua lode certe filippiche contro di me, o certe apologie come questa, di un giornale del Nord, che lo definisce «un cliché divino forgiato da Dio stesso per stampare nelle anime il richiamo del Cielo attraverso al grido di speranza che si agita nell'uomo moderno choccato dalla vertigine di un progresso metallico».
Ciò che deve averlo veramente e non leggermente «choccato» è la sostanza della mia «lettera», è la ragione per cui - con pena - ho scritto, è l'affermazione, che qui mantengo e sostengo, sorretto da troppi nuovi argomenti e non scosso dai troppo «difettivi sillogismi» dei miei attaccanti, ch'egli ha violato, nel dargli forma esecutiva, il decreto conciliare recante il titolo Constitutio de sacra liturgia die 4 decembris 1963 promulgata e che il Proemium dichiara inteso «ad unionem omnium in Christum credentium... ad mentem sanae traditionis». Si capisce ch'egli, il Cardinale, non è tutto il Consilium, ma n'è il praeses, il presidente, il... starei per dire il Kossighin, non per riferirmi, daccapo, ai «fanti», con la maiuscola e con la minuscola, suoi rossi amici, ma per il gusto di riferire ancora un vocabolo che i russi han preso e mantengono dal latino: Praesidium (e faccia Dio che quei governanti sian tratti un giorno ad aprir quei loro lavori con l'invocazione Sub tuum praesidium... come noi preghiamo e speriamo).
Il «Voi», se anche meno espresso, risalta per conseguenza, nella mia «lettera», assai più del «voi», ma è chiaro che la «choccatura» è o può esser più larga, pur se il mio «vecchio amico» Enrico Lucatello esagera un tantino, come i nemici Amici citati, scrivendo nei suoi Orizzonti (30 aprile) che io ho «preso di petto un cardinale, la commissione post-conciliare, che attua la riforma, tutto il Concilio Vaticano Secondo, e, voglia o non voglia, anche il Papa»: una scioccheria da «choccar» davvero chi legge e ha letto il libro e mi conosce alla meglio... Perchè si veda, qui di sfuggita, chi abbia davvero «preso di petto» tutte le sante persone e cose ora dette, perché sia chiaro, lampante, se si sia o no violato il decreto conciliare sulla liturgia, si legga l'ultima, ossia la più recente, per ora, Instructio (un eminente prelato, che non è il cardinal Bacci, ha definito la Riforma «una romanzo a puntate»; un romanzo giallo, si può specificare, con tutti i morti che ha lasciato e lascia per strada), dove, al capitolo VIII, si dice in quali altre parti, delle poche da cui il latino non era stato scacciato, può issare la sua bandiera il volgare: «Lingua vernacula adhiberi valeat... etiam: in Canone Missae; in universo ritu sacrarum Ordinationum; in lectionibs divini Offici, etiam in recitatione chorali...» In una parola: da per tutto; e poi si legga, si rilegga, l'articolo 36, l'articolo-base, l'articolo statutario della Costituzione votata dal Concilio: «Linguae Latinae usus in Ritibus latinis servetur: l'uso della lingua latina, nei riti latini, sia conservato». Chiaro? No, perchè c'è modo e modo di conservare, e i nostri riformatori parlano spesso di spirito, a proposito del Concilio: che alludano, per il latino, al C2H50H, di cui si fa uso, per conservare, nei gabinetti scientifici?
Non così noi l'intendevamo o ci pareva da intendersi; ma lasciamo qui, per ora, la cosa e veniamo al mio peccato più grosso: «Ti hanno paragonato a Lutero»


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